Intelligenza artificiale e psicologia, quando la tecnologia incontra la complessità della mente umana.
L’Intelligenza Artificiale (IA) sta emergendo come una forza rivoluzionaria in molte discipline ma, quando si tratta di applicarla alla psicologia, si deve confrontare con la complessità della mente umana. Se da una parte l’intelligenza artificiale può diventare un potenziale alleato nella diagnosi e nel trattamento dei disturbi psicologici, dall’altra ci sono preoccupazioni per le implicazioni etiche e la validità delle sue applicazioni.
Intelligenza artificiale e diagnosi
Fare una diagnosi vuol dire ricondurre un insieme di sintomi a un quadro coerente che possa aiutare a individuarne le cause. Il concetto di diagnosi in psicologia è un concetto in movimento (spesso anche discusso) e negli ultimi anni sono emerse diverse applicazioni dell’intelligenza artificiale in tal senso.
Una delle prime risale al 2006, quando un gruppo di ricercatori del Georgia Institute of Technology, della Johns Hopkins University e di Microsoft, ha utilizzato l’IA per predire il rischio di suicidio a partire dai contenuti postati sui social media. La stessa tecnica è stata poi estesa anche ad altre patologie, come per esempio la schizofrenia. Un altro esperimento molto famoso è quello svolto da Andrew Reece e Christopher Danforth nel 2017 per diagnosticare la depressione analizzando le foto pubblicate su Instagram dagli utenti. Lo studio ha mostrato come le persone che soffrono di depressione mostrano preferenze specifiche per quanto riguarda colori, ombre e filtri utilizzati per le foto (per esempio il filtro in bianco e nero “Inkwell” era particolarmente utilizzato).
Vista la delicatezza che ricopre la diagnosi nell’indirizzare il più ampio processo di cura, l’utilizzo dell’IA in questo campo è ancora limitato al mondo della ricerca accademica, anche se qualcosa comincia a muoversi. In India, il National Institute of Mental Health and Neuro Sciences (Nimhans) sta utilizzando un’intelligenza artificiale per identificare i fattori di rischio per la depressione e l’ansia, la quale ha dato già alcuni riscontri ad esempio relativamente alla familiarità di questi disturbi.
Questi primi esperimenti lasciano immaginare in futuro applicazioni molto ampie, non soltanto integrando ad esempio i test psicodiagnostici già esistenti, ma anche rendendo possibile la creazione di nuovi basati sui dati e metadati raccolti ogni giorno dai nostri smartphone, dispositivi wearable e assistenti vocali casalinghi.
Applicazioni a supporto dell’intervento psicologico
L’IA può anche supportare l’intervento psicologico attraverso applicazioni per migliorare il benessere, come Calm e Headspace, che offrono un supporto molto ampio, che va dal monitoraggio del sonno alla mindfulness.
Ma le potenzialità sono tantissime e il mondo delle applicazioni dedicate al benessere psicologico sembra destinato ad evolversi rapidamente. Ci sono infatti già applicazioni che cominciano a spingersi oltre, entrando più nello specifico nel campo dei disturbi patologici.
È il caso di Woebot, un chatbot addestrato su un set di dati provenienti da terapie cognitivo-comportamentali e diversi studi controllati che mira a rendere accessibile un primo punto di contatto per chiunque (tra i modelli di intelligenza artificiale addestrati da Woebot ce ne sono anche di specifici per adolescenti e donne incinta). Come specificano gli stessi sviluppatori, Woebot non è da considerarsi un sostitutivo di un percorso diagnostico o di cura, quanto piuttosto un assistente che si preoccupa di capire lo stato mentale degli utenti, aiutandoli a esprimere il proprio malessere, per poi indirizzarli verso un professionista.
Queste applicazioni hanno alcuni evidenti vantaggi, quali ad esempio offrire un supporto anche fuori dai normali orari lavorativi e anche in luoghi in cui non c’è un adeguato presidio professionale. Ma possono anche aiutare a ripensare il modo in cui facciamo prevenzione, creando dei touchpoint che siano più facilmente accessibili e per questo sappiano intercettare una parte di domanda che altrimenti potrebbe non arrivare ai professionisti.
Intelligenza artificiale e psicologia
Infine, l’IA si sta rivelando un alleato utile non soltanto rispetto ai processi di cura (prevenzione, diagnosi, intervento) ma anche per tutti quegli aspetti della professione che sono necessari per rendere le cure effettivamente accessibili. Pensiamo per esempio alle piattaforme che si occupano di effettuare il matching tra la domanda e l’offerta di servizi psicologici, quali Talkspace, BetterHelp o le italiane Unobravo e Serenis. In questi casi l’intelligenza artificiale può rendere più efficace la fase iniziale di assessment al fine di indirizzare la richiesta verso il professionista più adatto in base alle esigenze specifiche.
Un altro campo in cui l’IA sta cominciando a muovere i primi passi è quello della formazione, per esempio utilizzando strumenti come ChatGPT (ma cominciano a comparire anche chatbot più specializzati come PsyBot) per simulare pazienti in modo da consentire agli psicologi di cominciare a far pratica mentre stanno ancora perfezionando i propri studi.
Se pensiamo alle possibilità offerte dall’intelligenza artificiale, non possiamo non tenere in considerazione che la psicologia in questo momento è uno dei settori con il maggior potenziale di crescita per la nostra società. L’Italia, con una densità di psicologi elevata rispetto alla media Europea, ha un grande potenziale nel settore.
Un connubio perfetto?
Riusciranno queste applicazioni ad aiutarci a recuperare parte di quel valore di cui parlavamo all’inizio? L’auspicio è ovviamente di sì, ma vedendo questi primi e timidi esperimenti viene spontaneo porsi alcune domande.
Se il malessere psicologico è ancora largamente sottostimato, il pubblico è aperto all’uso dell’IA nella salute mentale e propenso a utilizzare servizi basati su intelligenza artificiale. È tuttavia fondamentale basare tali applicazioni su evidenze scientifiche, un aspetto attualmente poco studiato.
Mentre cominciano ad essere pubblicati diversi studi che analizzano quanto questi chatbot siano coinvolgenti o empatici, sono praticamente inesistenti quelli sulla loro efficacia, il che è il principale motivo per il quale negli Stati Uniti la Food and drug administration (Fda), l’ente che regola il settore sanitario, non ha ancora riconosciuto nessuno di questi strumenti come un dispositivo medico.
Una riflessione ancora da fare è poi quella relativa agli aspetti deontologici, soprattutto in quei paesi (come il nostro) in cui esiste un ordine professionale. La deontologia e la privacy sono preoccupazioni cruciali quando si tratta di dati sanitari altamente sensibili.
In sintesi, l’IA ha il potenziale per rivoluzionare la psicologia, ma ci sono ancora molte sfide da affrontare prima che possa contribuire appieno a migliorare la salute mentale e l’accessibilità ai servizi psicologici.
Fonti e approfondimenti
- In psicologia l’intelligenza artificiale sta facendo una rivoluzione in chiaroscuro – Wired
- Discovering Shifts to Suicidal Ideation from Mental Health Content in Social Media – PubMed
- Automated analysis of free speech predicts psychosis onset in high-risk youths – Nature
- Instagram photos reveal predictive markers of depression – EPJ Data Science