FinalSpark è una startup svizzera che ha sviluppato i primi bioprocessori con tessuto cerebrale umano. È l’addio ai “normali” chip?
L’era dei computer organici è già iniziata? A giudicare dalle ultime notizie provenienti dalla Svizzera sembrerebbe proprio di sì! La giovane e ambiziosa startup FinalSpark ha annunciato di aver sviluppato i primi bioprocessori commerciali della storia utilizzando del tessuto cerebrale umano.
Ma come funzionano? Scopriamolo insieme.
Un nuovo approccio all’elaborazione dei dati
FinalSpark è una giovane startup svizzera, nata nel 2014 e guidata, in qualità di Co-CEO, dai Dottori Fred Jordan e Martin Kutter (in foto d’apertura).
Specializzata nell’ambito del biocomputing, la tecnologia che combina l’elettronica e la biologia, ha da poco lanciato una piattaforma online chiamata Neuroplatform che promette di rivoluzionare le modalità di elaborazione dei dati.
La piattaforma dà l’accesso a ricercatori e centri di ricerca selezionati di tutto il mondo che, in qualunque momento e da remoto, possono condurre esperimenti su neuroni biologici coltivati in vitro sotto forma di organoidi cerebrali umani.
Al momento sono nove gli istituti di ricerca che hanno avuto le “chiavi” per usufruire di questa tecnologia, a fronte di tre dozzine di università che hanno espresso interesse a utilizzare la piattaforma.
“Crediamo fermamente che un obiettivo così ambizioso possa essere raggiunto solo attraverso una collaborazione internazionale“, afferma il dottor Fred Jordan, cofondatore di FinalSpark.
Un’architettura che fonda biologia, software e hardware
Sulla rivista Frontiers c’è una pubblicazione scientifica dal titolo “Open and remotely accessible Neuroplatform for research in wetware computing” che fornisce dettagli e specifiche della Neuroplatform.
Secondo il paper di ricerca, il cuore del sistema è costituito da quattro “multi-electrode arrays” (MEA), ognuno dei quali ospita quattro organoidi di tessuto cerebrale umano. In totale, quindi, la piattaforma può contare su ben 16 “mini-cervelli” interconnessi, rappresentando così il primo processore “vivente” al mondo.
Questi bioprocessori sono capaci di apprendere e elaborare informazioni in modo autonomo.
Bioprocessori, potenzialità e interrogativi
Le implicazioni di questa tecnologia, se confermata, sarebbero enormi. FinalSpark sostiene infatti che i suoi bioprocessori consumino fino a un milione di volte meno energia rispetto ai chip convenzionali. Un dato sbalorditivo, che potrebbe rivoluzionare settori ad alta intensità di calcolo come l’intelligenza artificiale e l’analisi dei big data.
La storia di questa azienda di biocomputing si lega dunque anche alle sfide in capo al settore tecnologico, per ridurre potenzialmente l’impatto ambientale associato all’uso crescente dei computer e delle soluzioni di IA, molto esigenti in termini di prestazioni.
Naturalmente, siamo ancora in una fase molto precoce e sperimentale. Prima di poter parlare di una vera e propria svolta, sarà necessario verificare in modo indipendente le affermazioni di FinalSpark e valutare l’effettiva usabilità di questa soluzione.
A sollevare più di un interrogativo è anche la modalità di accesso alla piattaforma. I nove istituti di ricerca, infatti, hanno dovuto sottoscrivere un modello di abbonamento basato su una criptovaluta proprietaria (500 PCM al mese per utente). Un approccio che solleva più di un interrogativo sulla reale maturità e sostenibilità del progetto.
Sicuramente la convergenza dell’intelligenza artificiale, i recenti progressi della biologia e le tecnologie delle cellule staminali hanno aperto nuovi orizzonti nel campo della biologia sintetica e del wetware computing.
“È un momento stimolante per essere un ricercatore”, afferma il dottor Martin Kutter, cofondatore di FinalSpark.