L’uso sommerso dell’IA in azienda potrebbe creare un disallineamento di competenze tra i dipendenti, creando un problema per il management.
di Lino del Cioppo, CEO e Presidente di Key Partner
Per uso sommerso si intende quando dipendenti e collaboratori fanno ricorso all’intelligenza artificiale ma in maniera individuale, senza condividerne i risultati con colleghi e management. Questo potrebbe portare ad un disallineamento di competenze tra i dipendenti più “skillati” e gli altri che ignorano le potenzialità dell’IA.
L’intelligenza artificiale in azienda
È ormai assodato come l’imperversare dell’intelligenza artificiale è un tema che si lega a triplo filo con quello dell’occupazione e quello della ricerca della migliore efficienza operativa. Una connessione che storicamente si ricompone ogni qualvolta irrompe nella nostra quotidianità una nuova tecnologia, potenzialmente in grado di fare quello che fa l’uomo ma con minori costi e maggiore efficienza ed efficacia.
La correlazione tra consolidamento di una tecnologia disruptiva, i sospetti per le ripercussioni sul posto di lavoro e la naturale curiosità per un tanto evidente potenziale è pertanto abbastanza scontata e, almeno nella teoria, giustifica le preoccupazioni di talune fasce di lavoratori. Ma se invece fosse questa attenzione il catalizzatore per un’integrazione naturale e progressiva dell’IA nelle aziende? E se fosse il management a non avere la migliore e completa percezione delle dinamiche e delle opportunità che la IA applicata ai processi di lavoro è in grado di generare?
L’uso sommerso dell’IA
Molte aziende sono alle prese in questi mesi con il fenomeno dello “Shadow AI”, ovvero dell’uso “sommerso” che i propri dipendenti e collaboratori fanno dell’IA ma in maniera individuale, non condividendone i risultati con i colleghi e il management. Un utilizzo spesso generato dalla curiosità di conoscere da vicino il nuovo “nemico” e capire se le paure siano o meno giustificate.
Un primo approccio “conoscitivo”, quello con l’IA, che molte volte poi non si esaurisce, trasformandosi in una sorta di training individuale di questa nuova tecnologia. Il lavoratore si ritrova quindi ad intraprendere autonomamente un percorso di upskilling declinato sui task e l’operatività quotidiana in generale, che finisce per creare disallineamenti in termini di competenze rispetto ai propri colleghi, e non solo…
Emerge quindi una potenziale criticità per il management, ovvero quella di definire delle policy e delle integrazioni con la IA che potrebbero non essere il “best fit” per l’azienda e che rischierebbero di essere introdotte con maggiori complessità e attriti dovuti alla gestione del cambiamento.
La necessità di un approccio diverso
Da qui la necessità di un approccio diverso nell’integrazione dell’IA in azienda, che impone al management una strategia che parta anche dal basso e dal coinvolgimento diretto delle persone.
Per fare ciò è necessario far emergere il “sommerso” attraverso, ad esempio, interviste anonime, user groups, tavoli di lavoro aperti, gamification, ecc…
Capire chi e come utilizza l’IA nel contesto lavorativo permette quindi una prima stima del livello di conoscenza dei singoli.
Una volta raccolte queste informazioni, l’azienda può utilizzare i dati per pianificare interventi mirati. La sensibilizzazione e la condivisione delle conoscenze diventano fondamentali. Creare gruppi di lavoro, comitati e organizzare corsi di formazione sono passi essenziali per diffondere la conoscenza dell’IA all’interno dell’azienda. Parimenti, utilizzare i dipendenti che già usano l’IA come testimonial e formatori può ridurre i timori dei colleghi più restii, creando un meccanismo virtuoso ed una spinta supplementare verso un’adozione di successo.
Per esempio, un’azienda potrebbe organizzare workshop in cui i “pionieri dell’IA” condividono le loro esperienze e dimostrano come l’IA possa migliorare la produttività e semplificare le attività quotidiane. Questi workshop non solo educano i dipendenti, ma promuovono anche un ambiente di collaborazione e supporto reciproco.
L’obiettivo primario dell’azienda nella gestione dello “Shadow AI” deve essere quello di ripianare il disallineamento tra competenze, creando le giuste condizioni affinché venga messa a fattor comune l’expertise accumulata dai singoli.
Intelligenza artificiale e casi d’uso può promettenti
Analizzare l’uso sommerso dell’IA permette anche di identificare i casi d’uso più promettenti per un’introduzione strutturata dell’intelligenza artificiale nei processi aziendali. Questo approccio consente di mappare i processi in cui l’IA è già stata integrata con successo e di estendere tali pratiche a livello aziendale, mettendo nelle mani dei dipendenti i migliori strumenti per consentire loro di sfruttare al meglio il supporto tecnologico.
Emerge quindi come l’introduzione dell’IA, per essere realmente efficace e radicarsi con successo, non debba esclusivamente venire dall’alto, quanto piuttosto debba prevedere un coinvolgimento dal basso, ascoltando in primis quelle fasce di lavoratori che, per paura o semplice curiosità hanno voluto “affrontare il mostro”, scoprendone in molti casi il volto buono del valido collaboratore nella vita lavorativa.
Questo approccio contribuisce in modo positivo anche al tempo necessario a introdurre e sviluppare la cultura della IA in azienda, facendola attecchire senza rischi di rigetto; come quando con la trazione integrale la spinta viene sia dalle ruote posteriori che anteriori, e migliora la tenuta di strada su terreni difficili.
Le aziende che prima riescono a identificare e valorizzare le competenze nascoste dei propri dipendenti sono quelle che avranno maggiori probabilità di successo nell’adottare l’IA in modo organico e sostenibile.