L’abitudine a seguire il GPS ci rende più inclini a ignorare i punti di riferimento circostanti
Il senso dell’orientamento è una capacità che varia notevolmente tra le persone: alcune ce l’hanno e riuscirebbero a trovare la strada di casa anche se portate, bendate, dall’altra parte del mondo; altre stanno ancora cercando di capire la direzione di Google Maps e riescono a perdersi persino nel proprio quartiere.
Da cosa dipende?
Il senso dell’orientamento coinvolge il cervello, i sensi, i geni e l’ambiente. La nostra capacità di orientarci si basa sull’interazione tra due tipi principali di cellule nervose:
- i neuroni di posizione (place cell) che rispondono alla domanda “Dove mi trovo?” e si attivano quando un individuo si trova in una posizione specifica o in un luogo particolare nello spazio, orientandolo verso la direzione che vuole prendere;
- i neuroni a griglia (grid cell) che rispondono alla domanda “Dove sto andando?” e si attivano quando ci muoviamo nello spazio.
L’insieme di questi due tipi di cellule costituisce il nostro cosiddetto “GPS interno” e la scoperta del suo funzionamento è stata premiata con il Nobel per la Medicina e la Fisiologia nel 2014.
È innata
La capacità di orientarsi potrebbe avere anche una componente innata, come dimostrato da studi pubblicati nel 2010 su ratti neonati. I ricercatori hanno registrato che ancor prima che i roditori aprano gli occhi e inizino ad esplorare l’esterno della tana, le cellule che controllano l’orientamento funzionano già come negli adulti.
I neuroni di posizioni e quelli a griglia si sviluppano e iniziano a interagire entro il primo mese di vita, ed è la loro interazione che determina l’abilità più o meno spiccata di orientarsi.
Poiché l’ippocampo umano non è molto diverso da quello dei ratti, si può ipotizzare che qualcosa di simile valga per l’uomo, anche se non è ancora chiaro in che modo.
In parte si può allenare
Ma non tutto è perduto: è possibile allenare e migliorare il senso dell’orientamento.
Eleanor Maguire, neuroscienziata dell’University College London, ha scoperto che i tassisti londinesi hanno una maggiore materia grigia nella regione posteriore dell’ippocampo, deputata ai compiti di navigazione, rispetto ai “non-tassisti” della stessa età e condizione culturale.
Questa differenza sarebbe tanto più marcata quanti sono gli anni di servizio e dipenderebbe dall’allenamento costante cui sono sottoposti i tassisti praticando giornalmente le 25mila vie del centro città e memorizzando elementi spaziali.
Sta peggiorando a causa del GPS
Secondo alcuni studi condotti dal ricercatore Roger McKinlay, l’abitudine a seguire pedissequamente le istruzioni del navigatore o delle mappe di Google ci rende più inclini a ignorare i punti di riferimento circostanti, lasciandoci con mappe mentali meno dettagliate e andando a impattare negativamente sul nostro senso dell’orientamento naturale.
Ciò solleva domande sull’equilibrio tra l’uso della tecnologia e il mantenimento delle nostre abilità innate di orientamento, e su come utilizzare le nuove tecnologie senza compromettere le nostre funzioni biologiche e neurologiche.
Gli studi sono ancora in fase preliminare.
Ci sono molte strade da esplorare, e in cui perdersi.