Il diritto alla disconnessione garantisce ai lavoratori la libertà di non rispondere a email e chiamate di lavoro fuori orario.
In Australia una nuova legge sancisce il diritto dei lavoratori a non rispondere a email e chiamate di lavoro fuori dell’orario di lavoro. E in Italia, esiste già il diritto alla disconnessione?
Diritto alla disconnessione: cosa è?
La notizia dell’approvazione della legge australiana che sancisce il cosiddetto “Diritto alla disconnessione” ha fatto il giro del mondo e sta facendo molto discutere anche in Europa.
Il diritto alla disconnessione è un concetto giuridico e sociale che riconosce il diritto dei lavoratori a non essere costantemente connessi e reperibili al di fuori dell’orario di lavoro. Si tratta di un’esigenza emersa in risposta all’aumento del telelavoro e della digitalizzazione, che hanno reso più facile per le aziende contattare i dipendenti anche in orari non lavorativi.
L’obiettivo è, innanzi tutto, quello di proteggere la salute e il benessere dei lavoratori, riducendo lo stress e il burnout causati da un’eccessiva disponibilità. Il diritto alla disconnessione mira inoltre a favorire un migliore equilibrio tra lavoro e vita privata, permettendo ai dipendenti di avere tempo per se stessi e per la famiglia.
Alcuni Paesi hanno man mano introdotte leggi specifiche per garantire il diritto alla disconnessione. Ad esempio, dal 2016 la Francia (Loi Travail) ha ratificato il concetto, obbligando le aziende a definire le modalità di utilizzo degli strumenti digitali nell’ambito del rapporto di lavoro.
È realtà in Australia
In Australia, il 26 agosto scorso, è entrata in vigore una legge per le aziende di medie e grandi dimensioni che riconosce compiutamente il diritto alla disconnessione per tutti quei dipendenti che decidono di non essere più reperibili fuori dal normale orario di lavoro, a meno che il rifiuto non sia considerato irragionevole.
Il testo, approvato dal Parlamento a febbraio e ora in vigore, mette nero su bianco il diritto dei lavoratori a separare la vita professionale da quella privata.
«Oggi è una giornata storica per i lavoratori dipendenti», ha affermato Michelle O’Neil, presidente dell’Australian council for trade unions (Actu), il sindacato che si è battuto per l’approvazione della norma. «Gli australiani potranno trascorrere del tempo di qualità con i loro cari senza dover rispondere continuamente a telefonate e messaggi di lavoro irragionevoli», ha aggiunto.
Cosa prevede la legge
In base alla nuova legge, i datori di lavoro non possono forzare i dipendenti a rispondere a chiamate o messaggi al di fuori delle ore lavorative. La normativa, tuttavia, stabilisce che vi possono essere delle eccezioni alle quali non è in ogni caso possibile sottrarsi: la posizione del dipendente, le circostanze personali e l’urgenza della comunicazione.
«Vogliamo assicurarci che, poiché le persone non sono pagate 24 ore al giorno, non debbano lavorare 24 ore al giorno», ha sottolineato il primo ministro laburista Anthony Albanese, il cui governo ha introdotto la riforma. «È anche una questione di salute mentale, francamente, che le persone possano staccarsi dal lavoro e avvicinarsi alle loro famiglie e alla loro vita», ha aggiunto.
Alle piccole imprese con meno di 15 dipendenti è stata concessa una proroga e saranno obbligate ad applicare la legge a partire dal 26 agosto 2025.
Motivazioni e benefici della legge
La motivazione principale dietro l’introduzione di leggi che promuovano il concetto di diritto alla disconnessione, è la crescente necessità di ripristinare un equilibrio tra lavoro e vita privata.
Secondo un sondaggio condotto dal Centre for Future Work, il 70% degli australiani ha riferito di aver svolto attività lavorativa al di fuori dell’orario programmato, accumulando stanchezza fisica, stress e ansia. Nel 2023, gli australiani si sono sobbarcati in media 281 ore di lavoro non retribuito, una situazione che incide notevolmente sul benessere psicofisico.
Reazioni e critiche
La norma ha però sollevato numerose polemiche nel panorama politico e imprenditoriale.
Da un lato, le organizzazioni sindacali, come Australian Council of Trade Unions (ACTU), hanno accolto favorevolmente la legge, sottolineando che non solo ridurrà le ore di lavoro non retribuite, ma affronterà anche la crescente crisi di malattie mentali e infortuni sul lavoro. Michelle O’Neil, presidente dell’ACTU, ha affermato che il diritto alla disconnessione porterà a “più soldi in tasca, più tempo con i propri cari e maggiore libertà di vivere la propria vita“.
Dall’altro lato, l’Australian Industry Group, un’organizzazione datoriale, ha espresso le proprie riserve, descrivendo la legge come affrettata e confusa. «I datori di lavoro e i dipendenti non sapranno più se possono accettare o effettuare una chiamata fuori orario per offrire ore di straordinario», ha proseguito. Critiche sono arrivate anche da parte del Business Council of Australia, che ha avvertito che la legge potrebbe danneggiare la produttività e la competitività del Paese.
Nel mirino l’uso dei termini “questioni ragionevoli” che apre a molteplici interpretazioni a seconda dei casi. Una zona grigia che potrebbe anche scoraggiare i dipendenti, inseriti comunque in un contesto gerarchico aziendale, a non denunciare eventuali richieste di lavoro extra.
Il diritto alla disconnessione in Italia
E in Italia? Esiste già il diritto alla disconnessione?
Nel nostro Paese al momento non esiste una normativa che applichi il diritto alla disconnessione per l’intera platea dei lavoratori.
La legge n. 81/2017 parla di lavoro agile senza usare mai il termine di “diritto alla disconnessione”. L’articolo 19 stabilisce quanto segue: “L’accordo relativo alla modalità di lavoro agile è stipulato per iscritto ai fini della regolarità amministrativa e della prova, e disciplina l’esecuzione della prestazione lavorativa svolta all’esterno dei locali aziendali, anche con riguardo alle forme di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro ed agli strumenti utilizzati dal lavoratore“.
Insomma, il lavoratore e il datore di lavoro devono accordarsi sulle modalità di erogazione del lavoro agile (ad esempio, anche “a distanza”) concordando i tempi di riposo: “L’accordo individua altresì i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro“.
Il Garante della privacy italiano ha sottolineato più volte e in audizione alla camera la necessità di assicurare «in modo più netto il diritto alla disconnessione per tutelare la distanza tra spazi di vita privata e attività lavorativa». Un problema concreto in Italia dove secondo Eurostat il 9,4% dei lavoratori sfiora in media le 50 ore di lavoro a settimana e dove pesa il fenomeno degli straordinari fantasma ovvero non pagati.