Ambiente e Clima Tecnologia
Una recente review riassume i meccanismi e le strategie di rimozione delle microplastiche dagli ecosistemi acquatici.

Una recente review riassume i meccanismi e le strategie di rimozione delle microplastiche dagli ecosistemi acquatici.

Le microplastiche rappresentano una minaccia significativa per gli organismi acquatici e terresti, con conseguenze anche sulla salute umana. Appare evidente che lo sviluppo di tecnologie efficaci per la loro rimozione dagli ambienti acquatici è un punto focale di ricerca.

Le microplastiche

Le microplastiche sono dei minuscoli pezzi di materiale plastico, solitamente inferiori ai 5 millimetri. In base alla loro origine, possono essere suddivise in due categorie principali:

  • Microplastiche primarie:
    • Rilasciate direttamente nell’ambiente sotto forma di piccole particelle;
    • Si stima che questa categoria di microplastiche rappresenti il 15-31% delle microplastiche presenti nell’oceano;
    • Fonte principale: lavaggio di capi sintetici (35% delle microplastiche primarie);
    • Abrasione degli pneumatici durante la guida (28%);
    • Microplastiche aggiunte intenzionalmente nei prodotti per la cura del corpo (per esempio, le micro-particelle dello scrub facciale) 2%.
  • Microplastiche secondarie:
    • Prodotte dalla degradazione degli oggetti di plastica più grandi, come buste di plastica, bottiglie o reti da pesca;
    • Rappresentano circa il 68-81% delle microplastiche presenti nell’oceano.

Man mano che i grandi articoli di plastica si dividono in microplastiche, la loro abbondanza nell’ambiente marino aumenta, il che probabilmente aumenta il potenziale impatto sulla fauna selvatica. Quando la dimensione delle particelle diminuisce, aumenta, di conseguenza, la diversità degli organismi che possono ingerire i detriti. Pertanto, le particelle di plastica più piccole sono più facili da ingerire, aumentando così il rischio da parte degli organismi viventi.

Ingestione delle microplastiche primarie e secondarie da parte degli organismi marini
Ingestione delle microplastiche primarie e secondarie da parte degli organismi marini

Gli effetti sull’ecosistema

Le quantità di microplastiche presenti negli oceani sono in aumento. Nel 2017 l’ONU ha dichiarato che ci sono 51mila miliardi di particelle di microplastica nei mari, 500 volte più numerose di tutte le stelle della nostra galassia.

L’ubiquità delle microplastiche rappresenta una minaccia significativa per gli ecosistemi acquatici e, per estensione, per la salute umana, poiché queste particelle vengono ingerite da vari organismi marini, tra cui zooplancton, crostacei e pesci, entrando infine nella catena alimentare umana.

Si stima che ogni persona ingerisca in media 1.769 microplastiche ogni settimana, per un totale di circa 5 grammi di plastica. Ma le microplastiche sono state trovate anche negli alimenti e nelle bevande, compresi birra, miele e acqua del rubinetto. Per cui, non c’è nulla di cui stupirsi se di recente sono state trovate particelle di plastica anche nelle feci umane.

Questa contaminazione minaccia l’intero equilibrio ecologico, comprendendo la sicurezza alimentare e la salute dei sistemi acquatici. Gli effetti sulla salute sono ancora ignoti, ma spesso la plastica contiene degli additivi, come agenti stabilizzatori o ignifughi, e altre possibili sostanze chimiche tossiche che possono essere dannosi per gli animali o gli umani che li ingeriscono.

Microplastiche. AdobeStock @Pcess609
Microplastiche. AdobeStock @Pcess609

Tecnologie contro le microplastiche

Una recente revisione riassume i meccanismi e le strategie di rimozione delle microplastiche dagli ecosistemi acquatici.

Le strategie che combinano pretrattamenti fisici e chimici con la degradazione microbica si sono dimostrate promettenti per la decomposizione delle microplastiche. I microrganismi come i batteri, i funghi, le alghe e gli enzimi specifici vengono sfruttati negli sforzi di bonifica dei MP.

I recenti progressi si sono concentrati su metodi innovativi come i bioreattori a membrana, la biologia sintetica, le tecniche basate su organosilani, la bonifica mediata da biofilm e le strategie basate sui nanomateriali, con le tecnologie basate sui nanomateriali che dimostrano un potenziale sostanziale per aumentare l’efficienza di rimozione delle microplastiche.

Si possono distinguere diverse tipologie di degradazione della plastica:

  • Fotodegradazione: Azione della luce (solitamente luce solare nell’esposizione esterna);
  • Biodegradazione: Azione da parte di organismi viventi (microbi);
  • Degradazione termo ossidativa: Degradazione ossidativa a temperature moderate;
  • Degradazione termica: Azione dovuta ad alte temperature;
  • Degradazione meccanica;
  • Idrolisi: Reazione con acqua.

Fotodegradazione

La fotodegradazione, detta anche degradazione foto-ossidativa, si verifica quando le materie plastiche sono esposte a radiazioni UV e ossigeno. Per essere in grado di assorbire energia luminosa e iniziare la reazione, la struttura polimerica della plastica deve contenere gruppi insaturi di cromofori. Tuttavia, nella maggior parte dei casi non è la catena polimerica stessa ad assorbire la luce UV, ma additivi come i pigmenti, ed impurità come residui di catalizzatore. L’intensità delle radiazioni UV dipende da molti fattori, come: la posizione geografica, il tempo e le stagioni. La radiazione UV in ogni caso rappresenta una delle principali cause di degrado dei materiali plastici presenti nell’ambiente.

Biodegradazione

La biodegradazione è il processo mediante il quale le sostanze organiche vengono scomposte dagli organismi viventi. Il materiale organico può essere degradato in aerobiosi (presenza di ossigeno) o in anaerobiosi (assenza di ossigeno). Microrganismi come batteri, funghi, e microbi sono coinvolti nella degradazione della plastica. Le materie plastiche che entrano nell’ambiente marino sono rapidamente colonizzate da microrganismi nativi, che portano alla biodegradazione del materiale, ma la loro biodegradazione è comunque un processo lento. Infatti, i polimeri plastici, come: PE, PP, PS, PVC e PET, sono considerati persistenti.

Degradazione termo-ossidativa

La degradazione termo-ossidativa è una lenta degradazione derivante dall’ossidazione a temperature moderate.

Degradazione termica

La degradazione termica è il deterioramento molecolare dovuto al surriscaldamento. Ad alte temperature i componenti della catena del polimero possono iniziare a separarsi (scissione molecolare) e a reagire tra loro per modificare le proprietà del polimero. Le reazioni chimiche coinvolte nella degradazione termica portano a cambiamenti di proprietà fisiche e ottiche. Il degrado termico comporta cambiamenti nel peso molecolare del polimero e cambiamenti di proprietà come: ridotta duttilità, sfarinamento, variazioni di colore, screpolature e riduzione generale della maggior parte delle altre proprietà fisiche desiderabili. La plastica contiene generalmente antiossidanti per prevenire l’ossidazione termica e il processo di degradazione termico può essere quindi lento alla temperatura ambiente, sebbene ogni 10 °C di aumento della temperatura ambiente determina un aumento doppio relativo alla velocità della reazione chimica. La degradazione termica può influenzare anche la mobilità della catena polimerica, che, a sua volta influenza l’attività enzimatica durante la biodegradazione. All’aumentare della temperatura le catene diventano più mobili e così diventa anche più facile per un enzima legarsi al gruppo funzionale giusto sulla catena polimerica.

Degradazione meccanica

Nell’ambiente marino, i polimeri plastici possono subire una frammentazione meccanica dovuta ad abrasione da parte di sabbia e pietre, onde o anche alta marea. Questa degradazione meccanica porta alla formazione di pezzi di plastica più piccoli. A differenza degli altri meccanismi di degradazione, nessun legame chimico specifico viene rotto durante tale degradazione meccanica.

Idrolisi

Nell’idrolisi, il materiale polimerico reagisce con l’acqua. La reazione può essere catalizzata da acidi, basi o enzimi, e non è limitata alla superficie del materiale plastico, in quanto l’acqua può penetrare nel materiale. Ad esempio, per il PET l’idrolisi è lenta a causa dell’effetto stabilizzante dell’anello aromatico. L’idrolisi è un processo autocatalitico ed è molto più lento rispetto alla fotodegradazione. È importante sottolineare che i processi di degradazione ossidativa e idrolitica portano a una riduzione del peso molecolare delle catene polimeriche, causando la modifica delle proprietà meccaniche del materiale che diventa più fragile. Questo promuove la deformazione meccanica e determina la formazione di frammenti nanoplastici.

Processi di degradazione dei polimeri plastici in mare
Processi di degradazione dei polimeri plastici in mare

Conclusioni e significato clinico

La plastica rappresenta una delle scoperte più cruciali nell’industria. Nel corso del tempo, lo scarico di microplastiche di diversa origine negli ecosistemi acquatici è diventato un pericolo sempre più significativo per gli organismi viventi e l’ambiente. Considerati i numerosi impatti dannosi che le microplastiche introducono nell’ambiente, in particolare negli ecosistemi acquatici, è fondamentale sviluppare approcci efficaci per mitigarne la prevalenza.

Per ottimizzare l’efficacia e ridurre al minimo gli effetti avversi, è imperativo far avanzare lo sviluppo delle tecnologie di trattamento delle microplastiche e sforzarsi di migliorare la qualità e le prestazioni delle alternative alla plastica, comprese le bioplastiche.

È necessario applicare normative rigorose seguendo il principio della tripla R – Ridurre, Riutilizzare e Riciclare – per creare strutture per il recupero dei materiali, promuovere la raccolta differenziata dei rifiuti domestici e cercare di mitigare gli effetti negativi dell’inquinamento da microplastiche.

Fonti e approfondimenti