L’Università di Rochester ha sviluppato un nuovo metodo di elettrocatalisi per rimuovere i Pfas dall’acqua
L’elettrocatalisi utilizza nanomateriali prodotti con laser a partire da metalli non preziosi e potrebbe gettare le basi per tecniche di bonifica scalabili a livello globale.
Lo studio
Gli scienziati dell’Università di Rochester hanno sviluppato nuovi approcci elettrochimici per ripulire l’inquinamento da “sostanze chimiche eterne” presenti negli indumenti, negli imballaggi alimentari, nelle schiume antincendio e in una vasta gamma di altri prodotti.
Lo studio “Complete electrocatalytic defluorination of perfluorooctane sulfonate in aqueous solution with nonprecious materials”, pubblicato sul Journal of Catalysis da Ziyi Meng, Madeleine Wilsey, Connor Cox e Astrid Müller descrive i nanocatalizzatori sviluppati per bonificare le sostanze per- e polifluoroalchiliche, note come PFAS.
I ricercatori, guidati dalla professoressa assistente di ingegneria chimica Astrid Müller, si sono concentrati su un tipo specifico di PFAS chiamato perfluorottano sulfonato (PFOS), un tempo ampiamente utilizzato per i prodotti antimacchia, ma ora vietato in gran parte del mondo per i danni che provoca alla salute umana e animale. Il PFOS è ancora diffuso e persistente nell’ambiente, nonostante sia stato eliminato gradualmente dai produttori statunitensi all’inizio degli anni 2000, e continua a essere rilevato spesso nelle riserve idriche.
L’elettrocatalisi innovativa
La Müller e il suo team di dottorandi in scienze dei materiali hanno creato i nanocatalizzatori utilizzando una combinazione unica di esperienza nei laser ultraveloci, scienza dei materiali, chimica e ingegneria chimica.
La Müller spiega che «Utilizzando il laser pulsato nella sintesi liquida, possiamo controllare la chimica superficiale di questi catalizzatori in modi che non è possibile ottenere con i tradizionali metodi di chimica umida. È possibile controllare la dimensione delle nanoparticelle risultanti attraverso l’interazione luce-materia, praticamente facendole esplodere».
Gli scienziati fanno aderire le nanoparticelle alla carta carbone che è idrofila o attratta dalle molecole d’acqua e spiegano che «Questo fornisce un substrato economico con un’elevata area superficiale. Utilizzando idrossido di litio ad alte concentrazioni, abbiamo defluorurato completamente le sostanze chimiche PFOS».
La Müller fa notare che «Affinché il processo funzioni su larga scala, sarà necessario trattare almeno un metro cubo alla volta. Fondamentalmente, il loro nuovo approccio utilizza tutti i metalli non preziosi, a differenza dei metodi esistenti che richiedono diamanti drogati con boro. Secondo i nostri calcoli, trattare un metro cubo di acqua inquinata utilizzando diamante drogato con boro costerebbe 8,5 milioni di dollari; il nuovo metodo è quasi 100 volte più economico».
Sfruttare i PFAS in modo sostenibile
Negli studi futuri, la Müller spera di capire perché l’idrossido di litio funziona così bene e se sia possibile sostituire materiali meno costosi e più abbondanti per ridurre ulteriormente i costi. Vuole anche applicare il metodo a una serie di sostanze chimiche PFAS che sono ancora prevalentemente utilizzate ma che sono state collegate a problemi di salute che vanno dagli effetti sullo sviluppo nei bambini al cancro ai reni.
La Müller sostiene che, nonostante i problemi, il divieto assoluto di tutte le sostanze e i prodotti chimici PFAS non è praticabile a causa della loro utilità non solo nei prodotti di consumo, ma anche nelle tecnologie verdi.
«Direi che alla fine molti sforzi di decarbonizzazione, dalle pompe di calore geotermiche alla refrigerazione efficiente alle celle solari, dipendono dalla disponibilità di PFAS», afferma Müller. «Credo che sia possibile utilizzare i PFAS in modo circolare e sostenibile se riusciamo a sfruttare le soluzioni elettrocatalitiche per rompere i legami con i fluorocarburi e recuperare il fluoro in modo sicuro senza immetterlo nell’ambiente».
Inquinamento e giustizia sociale
Anche se la commercializzazione è ancora lontana, la Müller ha depositato un brevetto con il sostegno di URVentures e prevede che il sistema possa essere utilizzato negli impianti di trattamento delle acque reflue e dalle aziende per ripulire i siti contaminati in cui venivano prodotti questi PFAS.
L’autrice conclude affermando che «È un problema di giustizia sociale. Spesso nelle aree a basso reddito di tutto il mondo, l’inquinamento è maggiore. Un vantaggio dell’approccio elettrocatalitico è che può essere utilizzato in modo distribuito e con un’impronta ridotta, utilizzando anche l’elettricità proveniente dai pannelli solari».